Questo articolo non avrebbe dovuto essere presente in questo mio blog che tratta di fotografia, ma c’è. Ieri sera, dopo la scossetta di 2.9, ho deciso di scriverlo e pubblicarlo qui, perché proprio un attimo prima si parlava, per l’ennesima volta, di Centro Storico. Ero a cena con i miei compagni di nuoto e mentre tornavo a casa, qualche minuto dopo la scossa, ho iniziato a riflettere sul perché del mio rientro con lo studio nel Centro dell’Aquila. L’ho fatto perché ho sentito che era il momento giusto, perché mi sentivo in forma e pronto, perché sei anni in uno non-spazio mi stava alienando. L’ho fatto perché avevo trovato il posto che avevo sempre sognato in passato: corso Vittorio Emanuele II e perché la proposta del canone di affitto era giusta ed equa. Ma la motivazione principale era il voler restituire qualcosa di mio alla Città che amo profondamente e incondizionatamente. L’estate del 2016 sembrava perfetta come avvio della mia avventura, ma ecco che arriva un nuovo Terremoto, di nuovo a ottobre e poi ancora. La natura ci conduce in una sorta di buco nero e l’inverno dello scorso anno è davvero terribile, fortunatamente le coppie di sposi mi vogliono bene e mi seguono anche in Centro Storico, alleviando la mia tristezza. Il tempo passa e qualche miglioramento appare, ma la situazione del Centro è ancora complicata: si ricostruisce il contenitore, ma non si pensa a ricostruire il contenuto. Arriviamo a oggi. Sono sinceramente preoccupato della situazione, si è vero, il bando Fare Centro darà un contributo alla mia situazione finanziaria, debilitata da questi 18 mesi passati a corso Vittorio Emanuele II, ma fino a quando? Non nascondo il fatto che ho pensato di lasciare il Centro e tornare nel vecchio studio, certo che anche lì i miei sposi mi avrebbero seguito, ma ecco che è arrivata l’illuminazione. Per me stare nel centro dell’Aquila è un atto di fede.
Non credo ci sia altra spiegazione, tutto il resto è superfluo e tutte le altre parole rischiano di essere inutili. C’è un ma (che non mi riguarda): questo atto di fede è inquinato dalla visione privata che, troppo spesso, sovrasta e annulla la visione collettiva. Il bene privato è anteposto a quello collettivo e solo il ribaltamento di questo assioma porterà alla vera rinascita dell’Aquila e delle frazioni.
Quanti di noi Aquilani credono in questo atto di fede?